...Prima il colore e dopo il bianconero ?
Pubblicato il 08/02/13
Categoria Tecnica
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Ringraziamo Patrizia Piccini della Fototeca Storica Nazionale Ando Gilardi

per aver pubblicato questo interessante testo del 1982
alla pagina web http://www.facebook.com/ando.gilardi





Molti sono fermamente persuasi che nella storia, in generale ma in quella delle invenzioni specialmente, tutto quanto è venuto dopo rappresenti un progresso in assoluto su tutto quanto è venuto prima.

Anche se è vero, che poi, di tanto in tanto, si provano delle nostalgie e si ritorna al vecchio affermando di preferirlo al nuovo. Ma è quasi sempre una questione di lumini a petrolio, nei quali allo stoppino viene sostituito un filamento elettrico, o qualcosa del genere.

Un altro equivoco, che sovente dovrebbe fare riflettere i fotografi, riguarda la confusione che può farsi fra l'evoluzione tecnica di certi mezzi e utensili necessari per esprimersi e la migliore o peggiore qualità del loro prodotto, cioè dell'espressione.

Nessuno mette in rapporto le macchine da scrivere con i meriti della letteratura, però si stabilisce un'equazione fra i meriti delle macchine per fotografare e quelli delle immagini che si ottengono.
È vero  che questo accade in pubblicità, però è una pubblicità che non fa ridere come dovrebbe.

Anzi! convince i più.


Ma l’aspetto più singolare di questo discorso consiste nel fatto che se lo assumiamo fuori da quella che si chiama ”realtà storica”, vale a dire fuori di un accaduto che non per essere tale si debba ritenere il più vero immaginabile, questo discorso non è affatto irrazionale.

Al contrario: suona come il più ragionevole corollario fotografico di quello che hanno fatto tanti famosi Maestri della Pittura i quali, innanzi tutto, si consideravano Maestri di un Bianconero che loro chiamavano il Disegno e poi, tutti, affermavano concordi come molte volte, anzi! il più delle volte, la pittura serviva solo a nascondere la mancanza di un disegno, inteso altresì come ispirazione, o un mediocre disegno. Insomma: un’incapacità dell’artista.

Ma poi! noi che oggi lavoriamo nel mondo della fotografia, non sappiamo benissimo, anche se non sempre abbiamo il coraggio di scriverlo, che quella a colori, brillanti e squillanti, cerca solo di nascondere la brutta fotografia: la mancanza di ispirazione, di ricerca e di lavoro puro e semplice, che è forse il difetto peggiore.

Alla fine le tinte non sono quelle dell’immagine ma del “trucco” con cui si cerca di nascondere la faccia della pigrizia. O dell’illusione di chi crede che davvero la fotografia sia quel mezzo che può dare tanto con pochissima fatica…

La verità, molto semplice, che tutti del resto possono trovare da sé semplicemente cercandola, è che oggi più di mai occorrono davvero superiori capacità e ispirazione per fotografare bianconero, per “disegnare” e non “dipingere” (ma forse possiamo dire colorare…) con la macchina. Occorre inoltre un insolito coraggio e una non banale cultura visiva per capire, meglio: per “sentire”, che il bianconero viene dopo il colore.


E' il cimento superiore della fotografia che si deve - coraggiosamente - affrontare in un universo delle rappresentazioni, quelle dei periodici, del cinema, della televisione, inesorabilmente variopinte.

Guardiamoci intorno: viviamo in ambienti visivi nei quali i colori non vestono più le forme, ma queste sono diventate il supporto quasi indifferente di quelli.

Si vuol far credere, nell'estetica come nell'informazione, che la mancanza del colore stabilisce "di principio" la povertà di un'immagine: una condizione di inferiorità per definizione. Quando si arriva a questo limite il colore, di per sé beninteso innocente, non è più un mezzo d'espressione, ma piuttosto di espropriazione della medesima.

E questo è vero prima di tutto in fotografia.


Non si tratta di andare controcorrente, meno che mai di negare l'altra" fotografia ma solo la sua negazione: vale a dire un meglio e un peggio, un più e un meno, determinati dal mezzo e non dai suoi frutti per quello che sono.

In quanto alla corrente, la fotografia bianconera prosegue la propria. Prosegue e, per certi aspetti, riprende poiché nella sua vicenda vi sono state delle sospensioni, specialmente nella ricerca estetica, che hanno impoverito il suo stesso linguaggio e, addirittura, la terminologia di cui abbiamo bisogno per discuterne. Sono, ad esempio, immagini della specie del bianconero i monocromi in qualsivoglia modo ottenuti, e il più corrente è quello del viraggio.

 E sono storicamente, filologicamente, insomma sono indiscutibilmente fotografia bianconero le elaborazioni grafiche, le figure ottiche "al tratto", i multipli, gli incastri, le stampe al carbone e alle polveri in generale e tutte le incredibilmente numerose varietà tecniche, e dunque espressive del genere.
Incredibilmente per quelli che si sono lasciati troppo facilmente convincere, non tanto tempo fa, che la fotografia bianconero - proprio e solo la fotografia bianconero - deve essere "pura" per potersi proporre ancora come "vera" fotografia! Per far credere loro che si corrompe l'oggetto si sono persino corrotte le parole che lo nominano. Non si è più parlato, come si dovrebbe, di elaborazioni e rielaborazioni, bensì di "manipolazioni". Addirittura si sono chiamate "trucchi da camera oscura". Trucchi!...

L'unico "trucco" fu quello di una spinta mascherata, e assai poco previdente, verso un consumo se non esclusivo poco ci manca, della fotografia a colori. Poco previdente dal punto di vista economico come dell'estetico. Perché la Fotografia a Colori, per vivere ed essere bella, ha assolutamente bisogno della Fotografia Bianconero. Esattamente come la Pittura ha bisogno del disegno.
E' casomai nell'inverso che non si trova questa assoluta necessità. Ma non ne faremo una questione....


Ando Gilardi
Milano, 1982 circa


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